Che coltivare un orto sia forse coltivare il mondo e che innaffiare un ciclamino sia un atto di resistenza sentimentale, un dire io sono qui, ora, e mi prendo cura.


sabato 31 dicembre 2011

Uva, vischio e desideri.


Ognuno ha i suoi, di rituali. Io mangiavo le melagrane da piccola e le lenticchie no, perché non mi sono mai piaciute e allora forse è per questo che sono piuttosto povera.
Gli acini d'uva per ogni rintocco sono ognuno un desiderio e in Spagna lo fanno tutti, questo piccolo rosario di speranza.
Sotto il vischio, si sa, ci si bacia.

E allora invochiamo le nostre divinità private e pensiamo che è sempre bello iniziare qualcosa, c'è tutta una specie di energia, e le cose nuove sono pulite e fresche. Buon anno.

mercoledì 28 dicembre 2011

Ghirlande sentimentali



 
le foto le ho trovate nel blog di una garden designer di Detroit che fa delle bellissime cose con la luce

Auguri!

...à la campagne, senza internét, ma con cani, famiglia e un sole primaverile. Così auguri ora, un po' in ritardo.

giovedì 22 dicembre 2011

Il christmas guardening di Rossella.

La mia amica Rossella, che è piena di clorofilla e di sole, è adorata dalle piante. Per questo, e perché la adoro anche io, sono stata felice  di regalarle un falangio baby, nato "in casa" quest'estate, appena fuori dalla mia porta.

Ad accompagnarlo, istruzioni sentimentali

e un piccolo guardener verde, che ora vive dentro il vaso
minuscola e surreale divinità protettrice.





lunedì 19 dicembre 2011

TOKIO GA (RDENS)

Tokio per me, che non ci sono mai stata, è tutta una grammatica ideogrammatica di treni veloci, luci, code ordinate sul metrò, pupazzetti rosa, uomini in cravatta regimental e ragazzi manga, film di Wenders e altre cose.
Così è stata una scoperta farmi un giretto qui e scoprire cose strane e poetiche, che ancora nessuno, di questa città, mi aveva raccontato.

Che per esempio si possono piantare le viole del pensiero sotto un marciapiede.


O i pomodori in un'aiuola.




O trasformare in giardino un ingresso di cemento.


venerdì 16 dicembre 2011

Regola n. 2. C'è sempre una soluzione.


Basta pensarci, fare delle prove e supplire come si può a quel che non si ha. Il risultato, spesso, è sorprendente, un po' per ogni cosa. 
Ad esempio. Io sogno una casa antica, decadente e luminosa, con vecchi pavimenti scricchiolanti di parquet a spina di pesce e cementine a scacchi rosse e nere. Soffitti alti e irregolari con rosoni e stucchi, muri a calce, boiserie alla francese primi 900, nicchie e termosifoni in ghisa arrugginiti. E naturalmente una veranda liberty di vetro temperato, un conservatory esposto a sud dove giardinare d'inverno rizomatiche antiche piante lussureggianti da erbari vittoriani.

foto via web

Per il momento, molte piante migranti invernali competono con me e tra loro per spazio e soprattutto luce, lottando contro riscaldamento, mancanza di umidità e grigiore denso milanese.

Ci ho messo un po', prima di capire che la soluzione è usare al meglio quello che si ha. E nel mio caso vuol dire una finestra (le altre due sono troppo vicine ai termosifoni). Così ho cercato le traiettorie degli scarsi raggi solari, il cammino della luce invernale e, su quei fili immaginari, ho costruito foreste impossibili su impalcature provvisorie. In attesa di serre e verande (e della salvifica primavera) le piante creano un variegato clan amazzonico e sembrano gioire.


mercoledì 14 dicembre 2011

Shiny happy people.

Piove vapore acqueo, che apre i pori alle foglie e le veste di abiti lucenti.
In altri luoghi, creature selvatiche nascono, drizzano le antenne, bevono l'umidità e si trasformano in caramelle.
Nuove, vive, sfacciatamente giovani.


grazie a Paola per la foto, per lo sguardo e anche per il titolo, che è perfetto e fa venire la gioia.

lunedì 12 dicembre 2011

Tutto è possibile. Anche un orto davanti ai grattacieli.

Sto riflettendo sul fatto che devo aggiungere una categoria ai miei post (e in realtà forse ogni mio post dovrebbe avere la categoria "tutto è possibile"). La verità è che nel giardinaggio e nel sentimento, gli unici limiti che abbiamo sono quelli che ci diamo.
Donc, continuiamo a immaginare e a dirci: ma perché non potrebbe essere che...
Lei è Annie Novak e ha una fattoria sul tetto. A Brooklyn.





foto via TheSelby

venerdì 9 dicembre 2011

I giardini sans papier, a Parigi.

Temporanei, reversibili, etici e poetici, fioriscono nelle città (tra palazzi in costruzione o macerie di demolizione) giardini sans papiers, secondo una felice definizione, che non posso fare a meno di mutuare.

Per esempio, è accaduto nel quartiere di La Chapelle, o in quello di Saint Blaise, banlieux parigine di fascino e povertà in egual misura.


 Come è scritto nell'home page di AAA (Atelier d'Architecture Autogérée), che ha contribuito a realizzare questi progetti: "Notre architecture est à la fois politique et poétique car elle est d'abord une mise en relation entre des mondes". La nostra architettura è politica e poetica insieme, perchè è, prima di tutto, costruzione di relazioni tra mondi.


mercoledì 7 dicembre 2011

L'elleboro non si lascia accarezzare.

L'elleboro chiede poco, ma, come quasi tutte le piante, quel poco lo vuole, e solo quello. Poco sole, non troppa acqua, poco concime. Quando lo curo, io me lo figuro sempre come un essere selvatico, che gradisce il cibo che gli lasciamo sulla porta, ma che non ha nessuna intenzione di farsi accarezzare.


Per qualche motivo, mia madre si è appassionata agli ellebori, ponendoli nella sua personale classifica, solo un gradino al di sotto dei gatti e molto al di sopra di rose, gerani zonali e cani (che pure ama molto). E così, per osmosi, questa piccola pianta resistente e dalla lunghissima letteratura magico-salvifica è entrata a far parte anche del mio panorama. Le storie legate ai suoi pericoli e alle sue virtù sono tante e, se l'etimologia dice che se la si mangia si muore, è pur vero che tutti, dal pastore Melampo, a Orazio fino al Vate Gabriele ne andavano alla ricerca per curare la follia e in India si bruciavano foglie di elleboro accanto alle partorienti, per infondere nei nuovi nati qualche potere o salvezza o saggezza.
Da me, abita il vaso dell'acero e quindi è sottobosco, ed è presenza fiorita un poco aliena, dall'aspetto per nulla domestico o coltivato, ma verde e virente, dalla struttura agile e solida di lepre giovane e insieme di ninfa cacciatrice, emissaria selvatica di mondi di linfa, humus e clorofilla. Ha un nome bellissimo da arrotolare sulla lingua, con quell'inizio musicale e liquido e il finale di terra e oggi è fiorito.

lunedì 5 dicembre 2011

7227 oggetti per diventare erba selvatica.





Le erbe selvatiche come antidoto al consumismo e come simbolo lieve e pervicace di un’invincibile resistenza. C’è un artista, che si chiama Michael Landy, un artista affermato di quelli amici di Damien Hirst, di quelli che fanno grandi performance concettuali, di quelli che espongono alla Tate, insomma, c’è un artista che ha una storia bellissima e inaspettata da raccontare. Io l’ho trovata scavando nella rete, dopo aver ricevuto in dono, ieri, uno dei jpeg che vedete sopra. Bene, Michael Landy, un giorno, si è messo a catalogare tutto quello che possedeva, e tutto vuol dire proprio tutto. Le sedie, i mobili, il passaporto, gli ombrelli, i libri, i dischi, le sue opere, le lettere d’amore, lo stereo, i cucchiai, lo spazzolino, i vestiti. La lista prosegue fino ad arrivare a 7227 oggetti. Una volta catalogati con cura, li ha portati in un vecchio magazzino e si è dedicato con calma e senza nessun furore distruttivo, a un metodico (quasi burocratico) annientamento. Prima ha diviso gli oggetti per categoria –come si fa per la raccolta differenziata-e poi a poco a poco, li ha polverizzati, in una performance collettiva chiamata BreakDown. Non ha guadagnato dalla performance, e nemmeno ha venduto la polvere originata dal suo Break Down, come di solito si fa in questi casi. Alla fine, Michael Landy è rimasto senza nulla, ad eccezione del gatto Rats e della fidanzata.
Quello che è successo dopo riguarda le piante selvatiche e io lo trovo meraviglioso. Per circa due anni, la sua vita è stata catalogare e disegnare minuziosamente, secondo la tradizione degli erbari illustrati, tutte le erbe spontanee che crescevano nel suo quartiere, fino a farsi venire male agli occhi . Il risultato è un progetto che si chiama Nourishment.
 A chi gli chiedeva il motivo di un tale cambiamento nella sua produzione artistica, lui rispondeva stupito che in realtà non era cambiato proprio nulla e che nient’altro, come le erbe selvatiche, poteva meglio rappresentare la vita nella sua essenza, a prescindere dalle cose che consideriamo bisogni, e che invece sono gabbie per le nostre radici vagabonde.

sabato 3 dicembre 2011

Oh che bei, o della gratuità.

Ad Adriana Zarri era tanto che non mi capitava di pensare. Poi, una serie di coincidenze mi ha portato a riaprire il libro di Einaudi con questa bellissima fotografia e a cercare uno dei tanti discorsi che lo attraversano come un filo di ricamo.
Adriana Zarri, morta l'anno scorso a 91 anni, era un'eremita, cattolica disubbidiente, intellettuale disallineata rispetto a qualsiasi linea, editorialista del Manifesto e instancabile combattente, contadina e nobile, amante dei gatti, dei giardini e dei conigli, e forse mai abbastanza umile per potersi definire francescana.
Le  pagine, in cui descrive la sua scelta e racconta dell'adorata cascina del torinese, dove in completa solitidine si dedicava in ordine sparso e variabile all'orto, alla preghiera, alla scrittura e agli animali, non sono semplici e non sempre consolanti. Ho uno ricordo irrequieto peraltro di quella lettura, come una sorta di disagio mescolato ad ammirazione e a tratti invidia, e sempre una specie di tensione che non so molto spiegare.
Ma al di là dell'ascetismo e del silenzio, a risuonare più forte e più a lungo dentro di me, le meravigliose descrizioni dei cesti dell'orto e quella definizione così lucida e poetica dell'estetica dei poveri, che la signora Zarri chiama gratuità:

"non c'è casa di contadino che non abbia i suoi fiori. Accanto alle coltivazioni "utili" e produttive dell'orto, c'è sempre l'angolo della gratuità: le "inutili" rose, i gerani, le dalie, i crisantemi...
Mi ha sempre fatto tenerezza la gratuità dei poveri: gente dall'esistenza dura, faticosa, dal lavoro assorbente: si direbbe che abbia poco tempo e anche poca disponibilità interiore per certi "lussi" improduttivi; e invece no. [...] le sue gratuità se le concede. Non ci indugia molto e quasi non ne parla: bisogna scovarle in un angolo dell'orto o spiarle, dalle sue parole, in lampi rapidissimi. Come quando Giacomo, davanti a una fioritura o a una conigliata, si illumina tutto di stupore ed esclama gioioso: Oh che bei"(pag.101).

Grazie mille a Lidia Zitara per i "giardini poveri" e per lo sguardo, e per la possibilità che mi ha dato di tornare su queste righe.

venerdì 2 dicembre 2011

E invece -viaggio nel passato.


C'è un post che avevo scritto tanti anni fa, su un altro blog, in un'altra era geologica, che c'entra così tanto con me e con il mio sguardo, che mi dispiaceva lasciarlo a languire senza acqua e sole nei territori da grande Nulla della rete, insieme a nickname perduti, a progetti sfumati, a cambi di idee.
Eccolo:

e invece
"I fiori, per esempio. Guardo sempre i balconi, pratico lo sguardo in aria, per cogliere gli stormi, le nuvole e le facciate delle case. Per arricchire la prospettiva, per naturale predisposizione della nuca, per invincibile distrazione
In questo periodo sono le piante a colpirmi, nei loro vasi nelle ringhiere nei ballatoi delle case popolari, dei palazzi signorili, dei condominii accaldati. C' è qualcosa di commovente nei gerani e nelle margherite, c' è un progetto. Soprattutto una cura, una tenacia nel voler mantenere le cose nei giusti binari, una fiducia nel quotidiano. Sembra banale comprare i fiori, ornare un centimetro d'aria davanti alla finestra, ricordarsi l'acqua al mattino, togliere delicatamente le foglie morte, non soffocare nello smog. E invece
E invece è una presenza, una presenza dignitosa, un non cedere al caos, la difesa della bellezza. La bellezza che è delicata , soffre il freddo, l'abbandono e la dimenticanza. Se penso a chi vive quelle case, penso a matasse di piccole felicità, a solitudini, a liste della spesa. Al mondo che sembra un vortice di mancanza di tempo. E invece ci sono gli annaffiatoi e le piccole serre.
E gli orti comunali a ridosso della ferrovia, ordinati e puliti e rigogliosi e qualcuno che li cura in mezzo al cemento, alle strade mal asfaltate, alla spazzatura e a tutte le forme di povertà e di tristezze che, bene o male, conosciamo da sempre".

giovedì 1 dicembre 2011

Nonostante tutto, il bosco avanza.



Che la foresta abbia un'anima profonda, mutevole proteiforme e magica, ce lo insegnano i miti, le fiabe e anche le nostre esplorazioni notturne nella terra del sogno. Lo sappiamo da soli, quindi, ma fa bene comunque apprendere che le forze boschive, quest'anno, si sono conquistate nuovi territori, dove c'era l'incolto e l'abbandono. La natura non ama i buchi e la vita riempie gli interstizi.
Sul Corriere di ieri, la notizia di una piccola rivincita dei boschi lombardi sul cemento era nascosta tra spread e Merkel, ma lo stesso non poteva passare inosservata.

"Nel 2010 i boschi  sono arrivati a occupare 6.200 dei 24 mila chilometri quadrati della Lombardia, guadagnandone circa 10 rispetto all'anno precedente, la superficie di 1.350 campi da calcio".

I più numerosi, qui in Lombardia, sono i faggi (fagus sylvatica), poi i castagni (castanea sativa), poi gli abeti rossi (picea abies), divinità minori, che proteggono scoiattoli e uccelli selvatici. E anche noi.