Che coltivare un orto sia forse coltivare il mondo e che innaffiare un ciclamino sia un atto di resistenza sentimentale, un dire io sono qui, ora, e mi prendo cura.


martedì 25 gennaio 2022

La grande pace delle cose addormentate.

 


Quando avevo i bambini piccoli, ed ero molto, molto stanca -della stanchezza delle madri, quella delle notti e soprattutto della responsabilità nuova e schiacciante di avere costante un pensiero allarmato fuori di sé, sognavo, con la mia amica Siria, un lungo sonno collettivo. Un addormentamento -un letargo- che come un incantesimo toccasse ogni cosa intorno a me, a partire da me. Un castello della bella addormentata che comprendesse, nell’ordine, me, i miei bambini, il mio uomo, gli animali e anche il giardino, che però allora non avevo ancora.

La vertiginosa attrazione verso la sospensione assoluta, l’avverarsi dell’azzeramento del tempo, che finalmente si puntano i piedi e il fiume si ferma, invece di scivolarci tra le dita nel suo eterno indifferente scorrere. Succede certe mattine presto, quando tutti dormiamo nello stesso letto, ed è vacanza e non c’è alcuna sveglia o cosa da fare. Succedeva qualche volta nel lock down, che tutti si era lì, insieme, al riparo dagli attacchi del mondo, come in una barca, ma ferma, in un porto sicuro.

Succede qui, alla Melusina. E succede soltanto d’inverno.

L’orto dorme sotto il fieno, le rose sotto le foglie, molte perenni, addirittura, sono scomparse come talpe sotto terra e sono la fiducia e l’immaginazione a conservarle vive . Le annuali sono partite, liberando le loro scommesse, che piano piano scendono sotto forma di semi e poi risaliranno, forse, sotto forma di foglie. Gli alberelli da frutto sono nudi e si assomigliano tutti, e anche quelli che quest’estate hanno faticato, si sono ammalati, sono gelati, adesso, con le loro gemme dormienti sembrano sani e forti come gli altri. Provvisoria democrazia invernale. I vecchi ciliegi tendono le braccia verso le nuvole (a me pare a implorare qualcosa, ma certamente non è così), le querce appaiono come disegni di bambini a rigare l’orizzonte. Il calicanto è indietro, ancora restio a sprigionare il suo profumo canoro, gli ellebori sono fioriti, ma senza gran convinzione, mi sembra mi chiedano un posto migliore. Lo cercherò.

Le peonie sono una promessa, il falso papiro non rustico, ma ben pacciamato un azzardo, le aiuole degli arbusti che ho piantato a novembre sono porcospini, grandi ovali irregolari da cui escono punte marroni, indistinguibili. Gli esili carpini della siepe di confine, che non bagno mai abbastanza, finalmente non esprimono mute proteste e stanno lì, semplicemente lì. Le foglie si decompongono piano sulle bordure.

Guardo molto poco. Non scruto la terra a cercare segnali (qui una colonia nuova di centranthus, lì si scorgono le foglioline frastagliate dell’achillea), non ricordo nemmeno più dove ho piantato i bulbi, sospendo il mio sguardo da entomologa sulle gemme (sono già gonfie?). Piuttosto riempio i rami spogli di cibo per cince e merli, adoro guardare il loro frullio e mi rendono allegra i loro voli. Quest’anno, a dire il vero, finora non ne hanno avuto un gran bisogno, di grasso e semi di girasole. Non c’è la neve ad acuire la fame, i cachi sono ancora sugli alberi, come le bacche. È più un piacere, per me e per loro, una specie di festa paesana, che apposta organizzo proprio davanti ai miei occhi.

Il giardino che dorme è bello come il giardino che si risveglia. E non perché io abbia per ora colori, forme, cortecce, o addirittura fiori invernali. Il suo bello è nell’esserci senza chiedermi nulla, come un panorama in una giornata luminosa, una passeggiata nei boschi, un parco pubblico che godo senza responsabilità. Il suo bello è guardarlo dormire, immaginare che cosa succederà e quali saranno le sue sorprese, se i semi di lunaria finalmente nasceranno, se le aquilegie avranno seguito il mio consiglio, se la centaurea ricomparirà nell’aiuola delle farfalle e le nigelle si saranno propagate.

E le cosmee? Chissà. Torneranno da sole o dovranno essere aiutate?

Il piccolo ceratostigma è morto di freddo o è solo in un profondo letargo? C’è il battito?

Mi sembra così bello poter pensare alla Melusina senza far nulla, un po’ distrattamente. Un pensiero senza azione, come si guardano i bambini dormire. E mi sembra così riposante, finalmente, anche pensare a tutt’altro, per tanto tempo, senza interruzioni. Cercare in rete poesie, leggere, guardare film, cucinare meringhe e pasta frolla, magari andare dal parrucchiere, pensare a viaggi lontani, che la Melusina non ha bisogno di me, né io di lei.

E quest’anno ho persino avvolto l’ulivo nel velo da sposa, se la caverà.

1 commento:

giovanni ha detto...

Che bella storia! Devo ammettere che ho cercato l'aiuto della traduzione di Google per capire il tutto. Per coincidenza, il tuo modo di pensare e scrivere corrisponde al mio. Ma lo fai meglio, nella tua lingua e nel tuo bellissimo stile. Una volta hai scritto un commento sul mio blog "Tutto è possibile", molto tempo fa, al post "Pereira prétend" del 13 novembre 2005.