Che coltivare un orto sia forse coltivare il mondo e che innaffiare un ciclamino sia un atto di resistenza sentimentale, un dire io sono qui, ora, e mi prendo cura.


mercoledì 7 dicembre 2011

L'elleboro non si lascia accarezzare.

L'elleboro chiede poco, ma, come quasi tutte le piante, quel poco lo vuole, e solo quello. Poco sole, non troppa acqua, poco concime. Quando lo curo, io me lo figuro sempre come un essere selvatico, che gradisce il cibo che gli lasciamo sulla porta, ma che non ha nessuna intenzione di farsi accarezzare.


Per qualche motivo, mia madre si è appassionata agli ellebori, ponendoli nella sua personale classifica, solo un gradino al di sotto dei gatti e molto al di sopra di rose, gerani zonali e cani (che pure ama molto). E così, per osmosi, questa piccola pianta resistente e dalla lunghissima letteratura magico-salvifica è entrata a far parte anche del mio panorama. Le storie legate ai suoi pericoli e alle sue virtù sono tante e, se l'etimologia dice che se la si mangia si muore, è pur vero che tutti, dal pastore Melampo, a Orazio fino al Vate Gabriele ne andavano alla ricerca per curare la follia e in India si bruciavano foglie di elleboro accanto alle partorienti, per infondere nei nuovi nati qualche potere o salvezza o saggezza.
Da me, abita il vaso dell'acero e quindi è sottobosco, ed è presenza fiorita un poco aliena, dall'aspetto per nulla domestico o coltivato, ma verde e virente, dalla struttura agile e solida di lepre giovane e insieme di ninfa cacciatrice, emissaria selvatica di mondi di linfa, humus e clorofilla. Ha un nome bellissimo da arrotolare sulla lingua, con quell'inizio musicale e liquido e il finale di terra e oggi è fiorito.

2 commenti:

siri ha detto...

alla lista dei fans dell'elleboro puoi da oggi aggiungere anche il mio nome, dopo quello di tua madre e il tuo. pensi che potrai bruciarne alcune foglie per noi con l'arrivo della prossima primavera?

giulia capotorto ha detto...

Ma certamente giglio, insieme a zucchero filato per la dolcezza (che sempre salva), polvere di diamante (per la forza e l'intelligenza) e assenzio (per viaggiare sicuro e visionario nei territori dell'immaginazione.