Che coltivare un orto sia forse coltivare il mondo e che innaffiare un ciclamino sia un atto di resistenza sentimentale, un dire io sono qui, ora, e mi prendo cura.


sabato 3 dicembre 2011

Oh che bei, o della gratuità.

Ad Adriana Zarri era tanto che non mi capitava di pensare. Poi, una serie di coincidenze mi ha portato a riaprire il libro di Einaudi con questa bellissima fotografia e a cercare uno dei tanti discorsi che lo attraversano come un filo di ricamo.
Adriana Zarri, morta l'anno scorso a 91 anni, era un'eremita, cattolica disubbidiente, intellettuale disallineata rispetto a qualsiasi linea, editorialista del Manifesto e instancabile combattente, contadina e nobile, amante dei gatti, dei giardini e dei conigli, e forse mai abbastanza umile per potersi definire francescana.
Le  pagine, in cui descrive la sua scelta e racconta dell'adorata cascina del torinese, dove in completa solitidine si dedicava in ordine sparso e variabile all'orto, alla preghiera, alla scrittura e agli animali, non sono semplici e non sempre consolanti. Ho uno ricordo irrequieto peraltro di quella lettura, come una sorta di disagio mescolato ad ammirazione e a tratti invidia, e sempre una specie di tensione che non so molto spiegare.
Ma al di là dell'ascetismo e del silenzio, a risuonare più forte e più a lungo dentro di me, le meravigliose descrizioni dei cesti dell'orto e quella definizione così lucida e poetica dell'estetica dei poveri, che la signora Zarri chiama gratuità:

"non c'è casa di contadino che non abbia i suoi fiori. Accanto alle coltivazioni "utili" e produttive dell'orto, c'è sempre l'angolo della gratuità: le "inutili" rose, i gerani, le dalie, i crisantemi...
Mi ha sempre fatto tenerezza la gratuità dei poveri: gente dall'esistenza dura, faticosa, dal lavoro assorbente: si direbbe che abbia poco tempo e anche poca disponibilità interiore per certi "lussi" improduttivi; e invece no. [...] le sue gratuità se le concede. Non ci indugia molto e quasi non ne parla: bisogna scovarle in un angolo dell'orto o spiarle, dalle sue parole, in lampi rapidissimi. Come quando Giacomo, davanti a una fioritura o a una conigliata, si illumina tutto di stupore ed esclama gioioso: Oh che bei"(pag.101).

Grazie mille a Lidia Zitara per i "giardini poveri" e per lo sguardo, e per la possibilità che mi ha dato di tornare su queste righe.

2 commenti:

paola ha detto...

ciao!
Parole perfette per la mia foto,hai raccontato con parole quello che ci "visto"io:)
L'altro giorno in biblioteca mi son trovata davanti questo libro e lo sto leggendo,anche questo è una bella scoperta!

giulia capotorto ha detto...

La tua foto "parla", bastava trascrivere :-). Sono felice che tu abbia incontrato Adriana Zarri. Poi mi dirai.