Di necessità occorre far
virtù. Ce lo insegnano interi catechismi di prozie sagge e favole moraliste di
Esopo. E così una volpe che non riesce a raggiungere i gonfi acini d’uva
sostiene sostenuta che “tanto sono acerbi”. Io –sempre- sono stata del partito
di Pollyanna e del suo “tanto meglio così”, ibridato con una tendenza che tende
a crescere verso il pensiero magico e le balzane trasformazioni del reale.
Quindi non mi preoccupo troppo per la mia attuale mancanza di un giardino da
coltivare, o di un terrazzo, o di un cortiletto e, a parte occasionali aghi nel
cuore, mi curo del mio balcone e sogno placidamente vastità. Questa premessa era necessaria,
perché mi è importante rimarcare che chi vive la mia situazione non è per forza
“invidioso”, piuttosto necessita di molta elasticità e si trova continuamente a
dover affrontare problemi pratici e anche filosofici di non piccola portata. Ne
esporrò alcuni (dilemmi, problemi, quesiti, posizioni ideologiche precarie,
affermazioni etc.), ai quali solitamente si accompagna anche il loro contrario.
Questo allenamento al pensiero complesso serve, nella vita.
-Beh, però avere un
balconcino è comodo, è più facile seguire la crescita delle proprie piantine.
Poche e ben curate.
- Olà, eccheccavolo. Il
balcone mica mi ferma, sovrappongo fioriere, attacco bancali, faccio orti
verticali, infilo vasi nei vasi e rampicanti pensili.
- Dopotutto su un balcone si
possono coltivare anche querce..basta conoscere i rudimenti della potatura
giapponese.
- Quest’anno non compro
piante, mi autogestico, autoproduco, semino avocado, nespole, ciliegie, poi
taleizzo, poi dissemino.
- Mh. Forse un balcone è più
adatto alle annuali (o presunte tali). Petunie, tagete, lobelie, begonie,
dalie, viole del pensiero, margherite, belle di giorno, di notte, di vetro.
Evviva i fiorellini! Con i loro colori offrono la primavera nel cemento.
- Mai cederò ai fiorellini. Sono
terribili quei cuscini sgargianti di un kitch senza perdono.
- Verde, solo verde. Due o
tre varietà (quelle che mi vengono bene e che mi autoproduco). Barcelona role model.
- E adesso che ho i
papaveri, tra un mese che sono sfioriti, che faccio?
- Da Orticola torno
stravolta in tram con 5 piante di cui non ricordo il nome, ma che certamente
sono erbacce (molto belle, per carità). Vita attiva brevissima, poi scompaiono
lasciando tristi vasi nudi.
- Come si fanno a fare le
stanze in un balcone di un metro per tre?
- Che belli i balconi quasi
vuoti!
- Che belli i balconi
stra-pieni!
Il balcone serve a
sperimentare, se no che divertimento c’è?
-Non amo i sempreverdi.
-Amo i sempreverdi.
- Stavolta che ho il sole,
riempio il balcone di rose.
- Basta. Impeditemi di
comprare un’altra rosa.
-Non avrò alcuna pianta
banale.
- Se tutti hanno le stesse
piante ci sarà un motivo.
E potrei andare avanti per
sempre, io con il naso in su per strada a guardare come fanno gli altri, a
sognare terrazzi e giardini dove ci sta –quasi- tutto e magari anche le ninfee.
A rimettere in discussione la mia idea personale di giardino tascabile, ad
amare tremendamente questo e il suo contrario (come un balcone selvatico di
sedum, che ho appena incontrato, e che in questa stagione fiorisce di cascate
di nasturzi, e null’altro). A comprare piante al supermercato e raccogliere
talee. A fare esperimenti.
Per ora, di tutto, sono
rimasta coerente solo all’assenza di gerani. E all’assenza di rosso. Ma chissà.
Quando avrò un terrazzo, vedremo.
1 commento:
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