Che coltivare un orto sia forse coltivare il mondo e che innaffiare un ciclamino sia un atto di resistenza sentimentale, un dire io sono qui, ora, e mi prendo cura.


giovedì 21 aprile 2016

Le signore.


Sono un po’ di tutte le età, ma con qualche caratteristica che le accomuna. Di solito hanno i capelli corti o medi, di solito mani forti, di solito tv accesa in casa e sempre un pezzetto di fuori, fuori. Di solito un gatto o due, o un cane sovrappeso. Meno frequentemente, il diamantino in gabbia. In città sono spesso portinaie, custodi di stabili più o meno eleganti, vestono di grigio o di marrone, ma anche con felpe colorate, e non se ne curano granché. Sono anche pensionate, o nonne giovani, o madri (o mogli) di ristoratori, pensionati con la passione dell’orto, o ferramenta con il cortile sul retro. Amano i giornali di gossip e fanno volentieri il caffè.
Le “signore” coltivano a piano terra (come sento che dovrebbe essere), anche se spesso in vaso, lasciando la casa in ordine e vuota di esperimenti botanici. Quelle che ho incontrato io sono sciamane, anche se non credo gradirebbero la definizione, e vivono in un mondo magico di rose ipertrofiche e talee divenute baobab, tutte piante che hanno una storia spesso miracolosa, strana e che non inizia quasi mai da un fioraio o in un vivaio. 
Dalla variazione infinita sul tema del “ ecco, questa l’ho trovata nel cassonetto, quell’altra me l’ha data moribonda la signora del terzo piano, quella era al cimitero, non la bagnava nessuno”, fino al seme di avocado, nespolo, albicocco divenuti graziosi alberelli. Dalle ortensie che vivono felici, anche se misteriosamente esposte a sud, alle forsizie potate ad alberello “massì, ho tagliato un po’ di qua un po’ di là”, fino al salice spettacolare nato da un rametto levigato “del mazzo di fiori di mia figlia. L’ho messo nella terra e puf!”. Le signore hanno il dono. Quel che piantano, cresce, e cresce forte, che si vede che ne ha piacere, di star lì.
Le signore si sporcano le mani e “sanno” le piante, senza spesso saperne neppure i nomi, e quando ingenuamente ti trovi a correggerle “no, signora, non è una gardenia, è un’ortensia”, dopo un secondo vorresti sotterrarti, come, nella prima guerra mondiale, un dottorino di primo pelo di fronte a una bracciuta infermiera da campo. Quel che si può fare, con le signore, oltre ad ammirarne l’opera, è chiedere semi o talee, o “piantini”, di cui sono prodighe e fiere dispensatrici. Di più, è quasi sempre inutile. I loro consigli, sempre che ne diano, di solito valgono solo per loro, in quella combinazione astrale sotto cui prospera il loro giardino incantato. Perché quando chiedi il perché e il come, loro già si annoiano (“non è che c’è molto da dire, basta fare”). E quando ti dicono , è anche peggio. 
L'altroieri, per dire, la signora Valeria, che vive in una minuscola casa da fiaba di cui presto racconterò, guardando con amore un po’ ruvido il suo rigoglioso ulivo in vaso, mi ha detto così: “lo bagno quando sopra la terra è secca, ma sotto le radici sono ancora un po’ umide, solo un po’ eh. Perché se la terra è secca tutta è troppo tardi, ma se è tutta umida è peggio”. Io sono rimasta piuttosto confusa, ma lei e l’ulivo, di sicuro, si sono capiti benissimo.
p.s. La foto non è molto giusta, ma generalmente le signore non amano farsi fotografare.

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