Che poi, a essere sincera,
mica mi sono mai davvero piaciute. Volgarotte, pretenziose, divenute dozzinali
nel loro essere dive da supermercati. Recise poi, sono terribili.
Spocchiose e fasulle, con quell’aria da cocker spaniel a una fiera di provincia e la
vacua prosopopea delle reginette di bellezza. Nascono imbellettate e vestite da
cerimonia, e così durano, a lungo. Immutabili per settimane e poi, zac,
caduche come foglie d’autunno di fiori di carta velina.
Poi, l’attesa. Ed è quasi
tutto lì il segreto del loro fascino ambiguo e irresistibile (per tacer dello spudorato disporsi dei petali, ovvio).
Perché loro sono la
quintessenza dell’attesa, profumano letteralmente di attesa. Attesa che può
durare una stagione o una vita intera, come certe cose della vita, attesa piena
di fede, o al contrario fatalista, attesa smemorata o trepida, attesa riempita
di attesa. Quando cade anche l’ultimo fiore, e il lungo ramo svetta inutile e
sgraziato, le orchidee, orbe dei loro occhi extraterrestri, si svestono
dell’essere piante per divenire illusione pura, o promessa senza paracadute.
“Tornerò, aspettami”, dicono gli amour de
jeunesse.
Poi il vuoto, riempito da cure
sacerdotali prive di garanzia di miracolo, come chicchi di riso e incenso sugli
altari domestici. Noi, vestali, a
bagnare, inumidire, irrorare, nebulizzare. Costruire zattere aeree, concimare,
non concimare, illuminare. Aspettare e aspettare. A volte ce ne dimentichiamo
pure, flirtiamo con più semplici amori. Solo che poi, quando compare quasi improvviso un bocciolo
rotondo che prelude alla fioritura, lo accogliamo come un soldato tornato dalla
guerra, che non aveva mai risposto alle nostre lettere accorate e che ora è lì,
vivo davanti a noi. Così tutto ricomincia, in un logorante tira e molla che può
durare una vita intera e che ogni volta è come se fosse la prima.
Perché le orchidee, quando
si degnano di rifiorire, è fatta. L’incantesimo è compiuto e ti stregano per
sempre, con il dubbio che non siano del tutto sincere, ma poi chissenefrega.
p.s. Ovviamente ci sono
quelle (o quelli) che trattano le orchidee come i sedum o giù di lì, e
nonostante questo hanno fioriture costanti, epiche e generosissime. A loro va
la mia invidia, e un’altra storia da raccontare.
1 commento:
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