Che coltivare un orto sia forse coltivare il mondo e che innaffiare un ciclamino sia un atto di resistenza sentimentale, un dire io sono qui, ora, e mi prendo cura.


martedì 20 aprile 2021

Il cielo che piove su di noi.


Guardo il cielo, lui ricambia lo sguardo, e finalmente si mette a piovere.

Piove piccole gocce fitte e gentili, non bastoni o spade di altri tempi e momenti, non fiumi in piena e cascate potenti, non scrosci e scontri, non tempeste inquiete da risvegli notturni. Non tuoni e vento.

Il cielo oggi piove leggero, che quasi -quasi- non vedo. Non ci sono pozzanghere sulle quali spiare le gocce, non ci sono rivoli ai lati del viale, l’acqua è una carezza necessaria, e come tale subito assorbita dalla pelle della Terra. Senza schiaffi, senza spinte, il cielo, da tanto è delicato, sembra fermo. Non vedo, e allora sento, con il braccio nudo e la mano aperta, ed è il tatto, più di altri sensi, il tramite che mi fa comunicare con lui (a me, alla foglia e alla lumaca)

Quando piove, quando piove così, dopo una lunga agonia di sete, dopo preghiere, speranze e timidi sguardi, il cielo bianco e lattiginoso, di nuvole fumose, finalmente abbandona il suo esasperante mutismo, la sua impenetrabile altera lontananza, e inizia, piano, a parlarci.

Lo vedo, benevolo, scendere in mezzo a noi, con i suoi mille amorevoli occhi, con mille dita premurose, e con mille voci tutte uguali ci sussurra una canzone continua e riposante, senza sorprese, monotona e dolce come un salmo.

Ci consola, ci calma, ci lava, ci purifica e ci prepara prima della frenesia orgiastica della piena primavera che verrà.

Oggi il sole è sospeso, ed è questo manto grigio a prendersi cura di noi e di tutti i noi con cui lo dividiamo, togliendo la sete e liberando i pori, permettendo alle foglie giovani di esporre i loro alfabeti verdi e lucidi, finalmente di parlare e di parlarsi. Le rocce, le pietre, persino la ghiaia, si svegliano e diventano vivi, ricordano la loro natura segreta di sorgenti e greti di fiume. I semi iniziano il loro viaggio, scendono un po’ e come quasi ogni cosa vivente, da bruchi diventano farfalle, da uova piccoli uccelli destinati al volo. Tutto è pronto, nella pioggia primaverile, per la consueta e sempre nuova trasformazione, ed è così anche per il cielo, che invece di starsene lassù, precipita in mezzo a noi, rinuncia a un po’ della sua divinità per sporcarsi di fango e così poterci amare.

È bello credere a una nostalgia di terra, a un desiderio di corpo (di più, di incorporazione) e insieme sapere che ci è dato il permesso di compiere -a noi umani terricoli, una specie di piccolo sacrilegio perdonabile, un rito silvano di rigenerazione. Se spalanchiamo la bocca, diventiamo foglie e fili d’erba, e ci allaghiamo di cielo.

Tra un minuto, o domani, i piani saranno di nuovo divisi, il cielo lontanissimo sopra i nostri rami e il sole di nuovo imperatore farà di noi quello che più gli piacerà. Ma adesso, ancora per un poco, con il cielo che piove, siamo tutti una sola cosa.

1 commento:

Gabriella ha detto...

Bellissimo, il "rito silvano di rigenerazione"! Ne abbiamo tutti bisogno...