Che coltivare un orto sia forse coltivare il mondo e che innaffiare un ciclamino sia un atto di resistenza sentimentale, un dire io sono qui, ora, e mi prendo cura.


venerdì 15 gennaio 2021

La Melusina e l'arcobaleno di Goethe.

 


Un arcobaleno che dura un quarto d'ora nessuno lo guarda più.

                                                            (Johann Wolfgang Goethe)

 La bellezza è funzione della fuga, l’effimero ci riempie di languore e nostalgia, il continuo trasformarsi delle cose ci costringe ad acrobazie di attesa e sorpresa, che lasciano frastornati di precaria beatitudine. Lo spettacolo è indimenticabile perché sappiamo che finirà, tra applausi e lacrime di commozione.

 

Quando tutto sembra fermarsi, le cose si fanno diverse. Ci stanchiamo in fretta, ci annoiamo di ciò che ieri abbiamo divorato con occhi avidi, ci immalinconiamo subito della felicità appena provata, le togliamo valore. Vogliamo cambiare canale, sfondo, panorama, pianeta.

E quindi la neve, qui alla Melusina, non la guardo nemmeno più, come il noiosissimo arcobaleno reso imperituro da Goethe. Non vedo più la sua consistenza, che peraltro è ancora bellissima, candida e croccante nel gelo del mattino. Non vedo neanche il vasto paesaggio di montagne, tetti e campanili  che si dispiega bianco davanti alle finestre e che mi rincuorava fino a ieri. Quello che vedo è invece un dispetto, una brutta coperta buttata sul mondo, una tenda che nasconde il mio sogno. Il giardino da parte sua, così neonato, così ancora impreciso, non ha bellezze da esibire e nulla di consolatorio, né cortecce colorate, né rami lucenti, né bacche allegre, né geometrie ghiacciate, e nemmeno i cachi arancioni che qui intorno salvano persone e passeri dall’inverno. Non ha quasi nulla, se non rametti spauriti e sgraziati, alberelli solitari, spine di rosa e cumoli rotondi che lasciano, con qualche fantasia, intuire salvie e rosmarini. Le querce e i ciliegi si impongono allo sguardo, rendendo, però, ancora più evidente il vuoto intorno.  Tutto il resto, sepolto in un mondo di mezzo, chiuso in un’armatura impenetrabile. Cosa c’è non lo so più, cosa c’era non ricordo, cosa ci sarà è affidato a qualche ondivaga speranza. E a poco vale il mite pensiero del “sotto la neve pane”, e del lungo sonno vegetale. Qui, dalle mie finestre, tutto sembra congelato in un incantesimo eterno, come il cuore di ghiaccio della regina delle nevi. 

Siamo fuori sincrono, la Melusina ed io, separate da diversi esercizi di pazienza, da diversi flussi del tempo, da diverse saggezze e da diverse esperienze. Non ci comprendiamo. Non è la prima volta che succede, che il battito del cuore sia sfasato rispetto a quello del mondo, succede con i bambini molto piccoli, quando i mesi sembrano durare secoli e l’eternità prende la forma delle notti insonni, succede quando da ragazzini si desidera correre al ritmo degli adulti, senza capire che grande inganno sia. Succede a volte con l’amore.

 

Per cui, come dice la mia saggia vicina, occorre fare esercizi di immaginazione e usare il foglio bianco che abbiamo davanti per disegnare mandala, macchie di colore, aiuole, rotazioni, semine, e immaginare inaspettate fioriture  e scorci di tropici domestici. E poi uscire, anche se si gela. Il calicanto, oggi che c’è il sole, sta aprendo i suoi piccoli pugni, fino a ieri serrati in posizione di difesa. Domani l’aria sarà piena del suo inconfondibile profumo e la primavera di un passo più vicina.

 


 

2 commenti:

Unknown ha detto...

C'è ne saranno tanti inv

Unknown ha detto...

C'è ne saranno tanti inverni, più o meno accettati. E per l umore come per il giardino, la neve come la casa nasconde ma non ruba..