Che coltivare un orto sia forse coltivare il mondo e che innaffiare un ciclamino sia un atto di resistenza sentimentale, un dire io sono qui, ora, e mi prendo cura.


giovedì 17 aprile 2014

La pace delle cose selvagge.


Di lui si sa molto, come in rete di (quasi) tutti. Un nome ignoto si compone su google in caleidoscopi di saggi, wikipedie, conferenze e aforismi, e così scopro che un "contadino del Kentucky" diventa faro per orticoltori biodinamici, fricchettoni vegani e anche per Oscar Farinetti. Scopro un volto molto anglosassone, scopro un vecchio signore che sorride insieme a Obama, un attivista che è stato in Italia e che gira il mondo a perorare la causa di un'agricoltura pulita buona e giusta. Scopro che ne vorrei sapere di più e che un pochino mi sono già stufata per ragioni molto ben spiegate qui.

In fondo, di tutto, ciò che davvero mi rimane sono i versi scoperti ieri, che da soli bastano a giustificare (per me) l'esistenza di Wendell Berry, ché ne condivido ogni lettera e respiro.


La pace delle cose selvagge

Quando cresce in me lo sconforto per il mondo e di notte mi sveglio al minimo rumore  per la paura di cosa sarà della mia vita e delle vite dei miei figli, vado a stendermi dove l'anatra del bosco riposa la sua bellezza sull'acqua, e il grande airone si ciba. Vado nella pace delle cose selvagge che non appesantiscono la loro vita con previsioni di dolore. Vado alla presenza dell'acqua ferma. E sento sopra di me le stelle che, cieche di giorno, aspettano con la loro luce. Per un momento riposo nella grazia del mondo, e sono libero.
Wendell Berry, New York, 1985

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